Sordità improvvisa: quando l’udito va via in pochi giorni

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Non hai mai sofferto di problemi di udito né di ipoacusia, perciò non ti sei mai preoccupato di eseguire un controllo dell’udito: ma conosci l’esistenza della cosiddetta sordità improvvisa?

Che cosa è la sordità improvvisa?

La sordità improvvisa (SHL) è definita come una riduzione dell’udito superiore a 30 dB, su almeno tre frequenze contigue, che si verifica nell’arco di un periodo di 72 ore o meno. Alcuni pazienti riferiscono di aver riscontrato la perdita dell’udito al loro risveglio di prima mattina, altri, invece, affermano che essa si è sviluppata rapidamente in pochi giorni. La gravità della perdita dell’udito, tuttavia, varia da un paziente all’altro e può coinvolgere una o entrambe le orecchie; nella maggior parte dei casi il paziente avverte inizialmente acufeni e maschi e femmine sono colpiti in egual misura. La sordità improvvisa rappresenta circa l’1% dei casi di sordità neurosensoriale ma è una patologia molto seria perché colpisce senza alcun preavviso ed è impossibile prevederla; l’età media dell’insorgenza oscilla tra i 46 e i 49 anni.

Quali possono essere le cause?

Le cause di una sordità improvvisa possono essere molteplici: infezioni, malattie circolatorie, patologie dell’orecchio interno come la Malattia di Méniere, traumi o interventi. Purtroppo, anche dopo una ricerca approfondita, nei singoli casi quasi sempre non si riesce a risalire alla causa che ha fatto scaturire la perdita uditiva.

Come viene diagnosticata?

La valutazione di solito inizia con una storia accurata del paziente e un esame fisico in cerca di potenziali cause infettive come l’otite media, le malattie sistemiche o l’uso di farmaci ototossici. Si cerca di documentare il repentino declino uditivo mediante un audiogramma; normalmente vengono consigliati anche esami del sangue nel tentativo di evidenziare eventuali cause sistemiche come la sifilide o disturbi metabolici, circolatori o autoimmuni. La risonanza magnetica del cervello è raccomandata per escludere un neuroma acustico, presente in quasi il 15% dei pazienti colpiti dalla sordità improvvisa.

Come curare la sordità improvvisa?

In mancanza di una causa certa della perdita uditiva, la scelta del trattamento da eseguire può essere molto difficile. In alcuni casi si ricorre a vari tipi di farmaci la cui efficacia è ancora oggetto di numerose ricerche (steroidi, vasodilatatori, ossigeno etc.), altre volte non si effettua alcun trattamento, ad ogni modo non esiste ancora una cura definitiva, anche se due terzi dei casi di sordità improvvisa vanno incontro a recupero spontaneo.

Ipoacusia: prevenire è meglio che curare

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Con il progressivo invecchiamento della popolazione, aumenta anche l’incidenza dei disturbi che sono legati all’avanzare dell’età e l’ipoacusia è uno di questi. Il calo uditivo, infatti, oggi colpisce circa 7 milioni di italiani ed è il terzo disturbo cronico per chi ha più di 65 anni dopo l’artrite e l’ipertensione. Ma questo dato è destinato ad aumentare, sia perché, appunto, l’età media della popolazione cresce rapidamente, ma anche perché gli stili di vita che conduciamo, sempre più frenetici e continuamente esposti a un forte stress acustico, non possono che velocizzare il processo di perdita uditiva.

Una ipoacusia “fisiologica” sopraggiunge in genere a partire dai 25 anni, anche se la vera perdita uditiva si inizia ad avvertire generalmente intorno ai sessanta. È vero anche, però, che le cause dell’ipoacusia possono essere molteplici, tant’è che è sbagliato considerarlo un problema esclusivo delle persone anziane.

Possono comportare una perdita uditiva anche traumi acustici, infezioni, uso di alcuni farmaci ototossici, interventi chirurgici, altre malattie o particolari attività che si svolgono abitualmente e che espongono per un tempo prolungato a rumori nocivi.

Oltretutto la perdita uditiva a volte può anche non dipendere dai nostri comportamenti, perché vivendo in grandi città è possibile trovarsi esposti a livelli eccessivi di rumore anche senza volerlo. Per questo motivo è importante che tutti adottino dei comportamenti idonei per limitare il più possibile e prevenire l’ipoacusia.

Ecco alcuni accorgimenti:

  • ascolta la musica in cuffia per un tempo limitato e scegli un volume non troppo alto;
  • se abiti in zone molto trafficate o rumorose, chiudi le finestre quando possibile;
  • se il tuo lavoro ti espone a livelli eccessivi di rumore, non sottovalutare l’importanza di utilizzare otoprotettori;
  • se pratichi immersioni e sport acquatici asciuga sempre bene le orecchie per evitare infiammazioni o infezioni e compensa sempre quando scendi in profondità per evitare repentini cambiamenti di pressione;
  • se frequenti locali notturni, concerti, ristoranti affollati, chiedi un tavolo più appartato o lontano dalle fonti sonore;
  • pratica attività fisica e limita il consumo di sostanze che favoriscono la perdita uditiva (farmaci ototossici, fumo, alcol, caffeina etc).

Infine, il fattore più importante da considerare è la prevenzione. Il controllo periodico dell’udito è uno strumento essenziale affinché l’insorgenza di una ipoacusia possa essere arginata in modo precoce, in modo da limitare la sua incidenza e i danni irreversibili che essa potrebbe comportare.

Labirintite e disturbi uditivi

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La labirintite è un’infiammazione che coinvolge l’orecchio interno, precisamente il labirinto, responsabile dell’udito e dell’equilibrio corporeo. La labirintite viene spesso confusa con delle semplici vertigini o con la nausea, ma in realtà è un disturbo differente la cui diagnosi preventiva è fondamentale in quanto essa comporta un danneggiamento del sistema vestibolare. A seconda dei casi, la labirintite può durare dalle tre alle sei settimane o manifestarsi esclusivamente sotto forma di attacco improvviso.

Sintomi della labirintite

L’esordio della labirintite si accompagna a dei sintomi piuttosto acuti, di cui le vertigini sono l’elemento principale. In una persona che soffre di labirintite, però, si possono rilevare anche ansia, confusione, assenza di equilibrio, acufene, nausea, vomito, nistagmo e perdita dell’udito. Tutti questi sintomi dipendono dal fatto che il sistema vestibolare non è più in grado di garantire l’equilibrio del corpo.

Ma quali cause determinano l’insorgere della labirintite?

Non è sempre facile individuare le cause della labirintite. Essa, infatti, può dipendere da un virus, da un’infezione batterica, può essere conseguenza di un’altra malattia (orecchioni, morbillo, mononucleosi, o addirittura un semplice raffreddore), può seguire a un trauma cranico o semplicemente a condizioni estreme di stress o allergia, in alcuni casi, più rari, deriva da malattie gravi come il tumore o la sifilide.

Gli effetti sull’udito

A seconda della sua intensità, la labirintite può determinare conseguenze più o meno gravi: una di queste è l’eventuale riduzione dell’udito, che varia da persona a persona, ma può anche essere permanente. Normalmente tutti coloro che contraggono questa malattia registrano un certo grado di ipoacusia all’orecchio coinvolto, ma esistono forme più gravi in cui si determina una lesione irreversibile dell’orecchio interno che può condurre anche a una sordità grave. Un altro sintomo connesso all’udito che può discendere da una labirintite è l’acufene, riscontrabile quasi in tutti i casi: i fastidiosi suoni si possono udire in momenti alternati o di continuo e spesso si concentrano nella fase iniziale della malattia.

La diagnosi della labirintite

In tutti i casi di labirintite è opportuno che la diagnosi sia precoce, in modo tale da limitare gli eventuali danni irreversibili. Per questo motivo, è importante rivolgersi a uno specialista già dai primissimi sintomi, perché solo in questo modo egli potrà individuare il tipo di labirintite, la sua causa e prescrivere una cura farmacologica idonea rispetto all’origine del disturbo.

Esame audiometrico per bambini

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Hai l’impressione che il tuo bambino abbia qualche problema di udito ma non sai in cosa consiste il test? Nulla da temere! Il controllo dell’udito è un esame facile da eseguire e per nulla traumatico per i più piccoli.

L’esame audiometrico è il test che viene effettuato dall’audiometrista al fine di determinare la capacità uditiva del paziente. Normalmente si svolge all’interno di una cabina silente attraverso l’emissione di suoni in cuffia ed è corredato, al termine, da un referto tecnico.

Questo tipo di esame è importantissimo per preservare la salute dell’udito e andrebbe effettuato periodicamente da adulti e bambini, indipendentemente dal fatto che essi abbiano o no riscontrato effettive patologie.

Nel caso in cui l’esame audiometrico sia da condurre su un bambino, entrano in gioco una serie di complicazioni di cui l’audioprotesista deve tenere conto e che determinano procedure diverse a seconda dell’età del paziente.

Diversi sono i modi e le tecniche per l’esame audiometrico per bambini e neonati.

  • Per i bambini che hanno pochi mesi di vita, da qualche tempo i più rudimentali esami, che si effettuavano in cabina durante l’allattamento della madre, hanno lasciato il posto alle più sofisticate OTA – otoemissioni acustiche. Questo esame semplice e non invasivo riesce a registrare direttamente le reazioni della coclea del bambino attraverso l’inserimento di una piccola sonda che si inserisce all’interno dell’orecchio esterno ed è capace di emettere e registrare suoni.
  • Per i bambini che invece hanno da 1 a 3 anni, dato che essi non sono ancora in grado di comunicare effettivamente la propria risposta uditiva, si utilizza un particolare tipo di esame audiometrico che prende il nome di audiometria condizionata. Questo test, attraverso stimoli visivi e uditivi presentati in forma di gioco, sfrutta il riflesso condizionato. Ogni bambino, infatti, reagisce istintivamente a un suono voltando il capo in direzione del punto dal quale esso proviene; dunque, all’interno di una cabina silente, al bambino viene mostrata l’accensione di alcune luci o di un display con un cartone animato (posizionati in punti diversi) associate ad alcuni suoni sicuramente udibili; al termine del suono anche gli elementi visivi si interrompono. Dopo alcune ripetizioni il bambino sarà indotto a girarsi in direzione del segnale sonoro in cerca di quello visivo che avrà associato, e lo farà anche se effettivamente quest’ultimo non si presenta.
  • Superati i tre anni in genere i bambini non risultano più interessati a stimolazioni di questo tipo, tendano a distrarsi e a non fornire informazioni attendibili. È per questo che per i bambini tra i 4 e i 6 anni si ricorre alla cosiddetta audiometria gioco, un esame audiometrico che prevede che con alcuni giocattoli, ad esempio un trenino elettrico, si educhi il bambino ad azionare il gioco spingendo un pulsante di avvio non appena sente il suono provenire dalla cassa acustica. Il gioco si avvia effettivamente solo se viene azionato nel momento in cui il suono si manifesta e dunque dà la possibilità di avere informazioni più dettagliate sull’efficienza uditiva del piccolo.
  • È a partire dai 6 anni di età che si inizia ad effettuare l’ esame audiometrico in cuffia. Vengono fatti ascoltare al bambino alcuni suoni, un orecchio alla volta, ed egli deve inviare una segnalazione al tecnico attraverso dei gesti ogniqualvolta li percepisce; così come accade per le persone adulte.

Seppure diversi, tutti i tipi di esame audiometrico qui analizzati sono semplici da effettuare e per nulla traumatici per il bambino; pertanto è importante rivolgersi ad un tecnico che sia specializzato per l’esame audiometrico infantile senza alcun timore, per assicurarsi di preservare la salute dei più piccoli evitando future complicazioni per il loro udito che possono derivare da una ipoacusia non trattata. Una perdita uditiva in tenera età, infatti, può avere ripercussioni serie sullo sviluppo linguistico e cognitivo della persona, ecco perché è opportuno affrontarla per tempo.

Udito del bambino: a rischio se si fuma in gravidanza

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Tra i vari rischi del fumo in gravidanza figura anche il rischio per l’udito del bambino: negli ultimi anni, infatti, diversi studi hanno dimostrato le ripercussioni negative dell’assunzione della nicotina da parte delle donne in dolce attesa.

Tempo fa uno studio pediatrico condotto dalla New York University School of Medicine segnalò che l’esposizione al fumo materno aumenta il rischio per l’udito del bambino e, spesso, si costituisce come causa di ipoacusia in età adulta. Degli oltre 950 adolescenti coinvolti, infatti, il 16% era stato esposto al fumo della propria madre durante la gravidanza e per loro la perdita di udito risultava tre volte più probabile che per gli altri.

Oggi, ricerche più recenti stanno cercando di individuare quali altri effetti può avere la nicotina sull’udito del bambino: in particolare, una ricerca condotta da alcuni scienziati tedeschi ha cercato di indagare le ripercussioni in termini di deficit uditivi di un’esposizione cronica alla nicotina durante lo sviluppo perinatale (dalla 28esima settimana di gravidanza fino al 28esimo giorno post-parto), inclusi il ritardo nello sviluppo del parlato e le difficoltà nell’apprendimento.

La ricerca ha interessato il tronco encefalico e in particolare il lemnisco laterale, una fibra che ha il compito di trasferire i segnali del suono dalla coclea all’encefalo e che si divide in varie parti, tra cui il nucleo ventrale del lemnisco laterale (il preciso oggetto dello studio).

L’indagine degli scienziati è riuscita a dimostrare che la nicotina è in grado di ridurre di oltre il 50% le sinapsi dei neuroni presenti in questa zona del cervello; questo determina necessariamente un rallentamento del tempo di trasmissione e dunque una riduzione delle informazioni sonore trasmesse.

L’udito del bambino ne risulta indubbiamente penalizzato e con lui anche le capacità di sviluppo del parlato e la capacità di apprendimento. Queste considerazioni si aggiungono alla già lunga lista di ragioni per le quali fumare mentre si aspetta un bambino è quanto di più sbagliato si possa fare per la propria salute e per quella del neonato.

Acufeni: il rischio aumenta se si usa troppo il cellulare

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Gli acufeni sono un disturbo dell’udito costituito da fastidiosi sibili e ronzii alle orecchie che non si riescono a localizzare, in passato collegati alla lunga esposizione al rumore, all’utilizzo di farmaci ototossici e a particolari traumi acustici.

In realtà, oggi sappiamo che l’origine degli acufeni può essere molto varia, in certi casi ha delle basi psicologiche e altre volte addirittura è sconosciuta; tuttavia, una recente ricerca austriaca ha dimostrato che l’utilizzo del cellulare (anche solo per dieci minuti al giorno) espone a un rischio maggiore del 70%.

La ricerca condotta dall’Università di Vienna e pubblicata sulla rivista scientifica Occupational and Enviromental Medicine ha analizzato 100 persone affette da questo disturbo e 100 persone sane, scoprendo che il pericolo aumenta in quei soggetti che utilizzano il cellulare per molto tempo nel corso della giornata.

Le ragioni di questo aumento possono essere ricondotte in primo luogo alla postura che si assume durante le telefonate, in cui il flusso di sangue si concentra in una sola parte della testa. Altra ipotesi, è che a determinare l’insorgenza del disturbo siano i campi elettromagnetici generati dallo smartphone. L’organo dell’orecchio interno deputato alla trasformazione dei suoni in impulsi elettrici è la coclea, e quest’ultima pare che sia più sensibile alle onde radio che vengono emesse dai dispositivi.

Gli stessi responsabili della ricerca sottolineano l’importanza di ulteriori approfondimenti, sebbene sia certamente consigliabile ridurre il numero di ore che abitualmente si trascorrono utilizzando lo smartphone. In primo luogo perché ciò costituisce un pericolo per diversi aspetti della salute, e poi perché, a quanto pare, essi risultano essere dannosi anche per l’udito.

Perdita uditiva e invecchiamento

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Come sappiamo, la perdita uditiva col tempo comporta un deterioramento della qualità della vita, perché complica lo svolgimento di alcune attività e rende più difficile la comunicazione.

Diversi studi, però, hanno dimostrato che esiste una certa correlazione tra udito e capacità cognitive: la nostra mente, infatti, è notevolmente influenzata dalla nostra capacità di sentire bene i suoni provenienti dall’esterno e di comprendere il parlato.

A quanto pare gli adulti più anziani, con una perdita uditiva non trattata, hanno anche più probabilità di sviluppare problemi di memoria e ragionamento. Secondo alcuni, il maggiore declino cognitivo potrebbe essere legato all’isolamento sociale a cui spesso si sottopongono le persone che soffrono di ipoacusia.

Ciò significa, in sostanza, che la perdita uditiva può avere conseguenze ben più gravi di quelle che normalmente ci si aspetta.

Se si considera, poi, che il numero di anziani che soffrono di perdita uditiva è destinato soltanto ad aumentare (dato il progressivo invecchiamento della popolazione mondiale), non si può che ribadire quanto sia importante la prevenzione dei problemi uditivi.

Fondamentale è, inoltre, anche l’utilizzo di apparecchi acustici idonei al proprio bisogno, in quanto indossarli significa mantenere efficiente sia il proprio udito che la propria mente.

Calo uditivo e cellule ciliate: cosa accade davvero

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Il calo uditivo colpisce in Italia oltre 7 milioni di persone, per motivi diversi, a una o entrambe le orecchie. Alcune persone nascono con un deficit uditivo congenito, altre lo raggiungono con l’avanzare dell’età, altre ancora incorrono in una perdita uditiva a causa di malattie o traumi acustici.

Ma in tutti questi casi come avviene il calo uditivo?
Per comprendere cosa accade alle nostre orecchie quando sopraggiunge una perdita uditiva, è fondamentale conoscere il naturale funzionamento della nostra percezione dei suoni. Il suono consiste in onde che si propagano attraverso l’aria o l’acqua. L’orecchio è in grado di trasformare queste onde sonore in impulsi nervosi che vengono trasmessi al cervello, e lo fa sfruttando le sue tre aree principali:

  • l’orecchio esterno, composto da padiglione auricolare e canale uditivo, che indirizza il suono verso la membrana del timpano, la quale vibra in risposta;
  • l’orecchio medio, costituito dai cosiddetti ossicini (martello, incudine e staffa), che amplificano e trasferiscono le vibrazioni provenienti dal timpano alla finestra rotonda, una cavità dell’orecchio medio;
  • l’orecchio interno, dove si trova la coclea, una struttura a forma di chiocciola in cui le cellule ciliate si muovono in risposta alle oscillazioni e aiutano a trasformare l’onda sonora in un segnale elettrico che viene trasmesso dal nervo acustico al cervello.
  • Tralasciando quei casi di calo uditivo dovuto a danni dell’orecchio esterno o medio (qualunque tipo di ostruzione, come un tappo di cerume), la parte dell’orecchio maggiormente responsabile dell’ipoacusia è proprio l’orecchio interno.

Una diminuzione delle cellule ciliate ivi collocate, o un generale danneggiamento di queste ultime, provoca inevitabilmente una riduzione della percezione uditiva.

Le cellule ciliate, infatti, si poggiano sulla membrana basilare e si dividono in cellule ciliate esterne ed interne. Sono circa 16000 per orecchio e sono trasduttori meccano-elettrici, cioè trasformano un movimento meccanico in impulso elettrico tramite passaggio di ioni.

Ciò le rende fondamentali per il funzionamento del nostro apparato uditivo, ma in caso di danneggiamento esse non sono in grado di rigenerarsi. Il danneggiamento può causare sordità parziale o totale e gravi patologie.

Nella maggior parte dei casi, ciò avviene con l’avanzare dell’età ed è questo il motivo per cui la principale causa di ipoacusia resta l’invecchiamento (spesso si parla, infatti, di presbiacusia).

Ma il calo uditivo riconducibile al livello dell’orecchio interno, che prende il nome di ipoacusia neurosensoriale, può manifestarsi anche in età più giovane: la capacità di percepire i suoni deboli o medi può essere persa anche a causa di una prolungata esposizione a rumori nocivi o se si subisce un improvviso trauma acustico. Per questo si consiglia sempre di stare alla larga da rumori che superino gli 85 db o di non ascoltare la musica in cuffia ad alto volume e per troppo tempo, e ciò vale a qualsiasi età.

Cura per l’acufene: esiste davvero

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Molti pazienti che si trovano da anni ad affrontare gli acufeni arrivano per frustrazione a ritenere che la cura per l’ acufene non esista. L’acufene, infatti, pur non essendo una malattia, è uno dei disturbi dell’udito più diffusi e ostici, e colpisce circa il 20% della popolazione. In medicina si tende a considerarlo un sintomo di altre patologie, consistente nella percezione di rumori pulsanti o persistenti (quali fischi, ronzii, fruscii) che vengono avvertiti dal soggetto nelle orecchie o al centro della testa pur non essendo emessi apparentemente da nessuna fonte.

La difficoltà ad affrontare questo disturbo spesso deriva dal suo carattere multifattoriale.

L’acufene, infatti:

  • può derivare da differenti cause;
  • può essere percepito in modo diverso in base alla sua intensità, alla sua natura e alle peculiarità del soggetto che ne è affetto;
  • può essere curato in modi diversi a seconda dei fattori sopraelencati.Spesso la frustrazione provocata da un fallimentare percorso di trattamento induce il paziente a credere che la cura per l’acufene non esista, ma numerosi studi hanno dimostrato che in realtà i trattamenti possono rivelarsi molto efficaci, purché si scelga quello più idoneo alla fattispecie del problema.

Innanzitutto per individuare la giusta cura per l’ acufene è necessario riuscire a identificarne la causa: sia essa una condizione fisiologica o mentale. L’acufene, infatti, è soggetto a reciproche implicazioni con il sistema nervoso e spesso nasce da svariate cause per nulla connesse all’apparato uditivo.

Può derivare da:

  • esposizione ad ambienti rumorosi
  • ipoacusia
  • diabete
  • problemi tiroidei
  • intossicazione da zuccheri, alcool e farine bianche
  • uso di farmaci ototossici
  • uso di farmaci antidepressivi, sedativi, anti-infiammatori
  • infezioni
  • disturbi neurologici
  • alcolismo
  • alterazioni otologiche
  • aterosclerosi
  • otosclerosi
  • ipertensione
  • fattori psicologici

Soprattutto questi ultimi hanno un’influenza determinante nell’insorgenza e nella gestione dell’acufene: in generale, in quasi tutti i pazienti in cui l’acufene assume una frequenza persistente si riscontra uno stato d’ansia accompagnato al disturbo. Talvolta, l’acufene può essere generato da cause psicosomatiche, o comunque comportare conseguenze rilevanti connesse al benessere psicologico. Ansia, depressione, disturbi dell’umore e del sonno possono essere connessi all’insorgenza dell’acufene o esserne una conseguenza. Talvolta anche le particolarità caratteriali del singolo soggetto possono influenzare l’approccio all’acufene. La cura per l’acufene, quindi, può rivelarsi semplice in caso di un paziente con un buon approccio, o tortuosa se si innesta su altri disturbi o viene affrontato male.

In generale, però, occorre considerare che sono state brevettate numerose forme di terapia negli ultimi anni, non solo farmacologica, che hanno consentito notevoli risultati.

La più diffusa terapia è la TRT (Tinnitus Retraining Therapy) che stimola l’attività dei neuroni uditivi attraverso un arricchimento sonoro ambientale, finalizzato ad abituare il cervello a mascherare i rumori percepiti. Un ruolo essenziale nella percezione dell’acufene, infatti, è esercitato dalla corteccia cerebrale: è la mente a riconoscere questi suoni e farne scaturire, spesso, una sensazione di stress e ansia crescente; rieducando quest’ultima, dunque, si possono ottenere risultati sorprendenti.

Altri trattamenti affrontano l’acufene con differenti forme di terapia; attraverso l’uso di apparecchi acustici appositamente creati, inoltre, si possono mascherare i suoni di disturbo. Anche la musicoterapia e i suoni della natura spesso vengono utilizzati dai pazienti che soffrono di questo disturbo per mascherare i suoni ma anche per calmare la mente.

L’ansia e la frustrazione, infatti, sono i principali nemici nella cura per l’acufene: il coinvolgimento della nostra mente gioca un ruolo essenziale nella gestione del disturbo ed è, spesso, a partire da quest’ultima che si possono ottenere i risultati più soddisfacenti.

Sintomi della perdita di udito: come riconoscerli

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Individuare i sintomi della perdita di udito è fondamentale. L’udito, infatti, è responsabile dello sviluppo intellettuale e linguistico di ogni essere umano, fin dai primi mesi della sua vita: attraverso questo importante senso si ricevono informazioni, messaggi emotivi, si stabiliscono le comunicazioni e si mantengono i rapporti sociali, restando in contatto con il mondo intero. La sordità, quindi, identifica una perdita di funzionalità notevole, che comporta conseguenze rilevanti dal punto di vista fisico, intellettivo ed emotivo.

Per questo motivo riconoscere i sintomi della perdita di udito il prima possibile è importante per prevenire ulteriori rischi e per correre ai ripari con rimedi appropriati, che arginino conseguenze altrimenti irreparabili. Individuare i segnali, inoltre, è un compito non soltanto di chi ne soffre, ma anche e soprattutto di chi gli è più vicino, che può più facilmente accorgersi del deficit e oltretutto valicare il muro di non accettazione che spesso la persona con una perdita d’udito tende ad innalzare all’inizio.

Ammettere di avere un problema di udito, infatti, e sottoporsi a una visita specialistica sono passaggi che il paziente troppo spesso affronta a rilento e con difficoltà, ritardando senza motivo il ricorso a una cura e all’utilizzo di un apparecchio acustico, che potrebbe, al contrario, semplificare le sue attività quotidiane e migliorare la qualità della sua vita.

Ma quali sono, dunque, i sintomi della perdita di udito a cui è importante prestare attenzione?

Si può essere in un caso di perdita di udito:

  •  se si ripetono troppo spesso domande come “cosa?”, “come?” e altre che invitano il nostro interlocutore a ripetere quanto ha appena affermato (come già detto è importante ricordare che
  • se a farlo è, invece, un nostro familiare, il nostro dovere è quello di farglielo notare con garbo e gentilezza, ma sottolineando l’importanza del problema);
  • se si diventa più distratti e smemorati, perché buona parte della nostra memoria, si basa su ricordi di ciò che abbiamo ascoltato e, quindi, l’ipoacusia può compromettere l’efficienza mnemonica in modo significativo;
  • se si ha difficoltà a prestare attenzione in ambienti rumorosi e i rumori provocano fastidio e dolore all’orecchio;
  • se le conversazioni di gruppo diventano difficili da sostenere, perché si fatica a distinguere le parole di qualcuno in mezzo al brusio dei discorsi altrui;
  • se si registrano difficoltà nel mantenere l’equilibrio, dal momento che i centri del bilanciamento sono deputati agli organi dell’udito.

In presenza di uno o più sintomi come quelli appena elencati, quindi, è bene prendere in considerazione l’eventualità di un controllo presso uno specialista. Sarà lui stesso a fornirvi informazioni dettagliate sullo stadio del problema e a suggerirvi, in caso fosse necessario, l’ausilio di un apparecchio acustico adatto alle vostre specifiche necessità.